Intro alla mia tesi (1998)
Iniziava così la mia tesi sul Web nel ’98… con qualche elemento in comune con gli argomenti della “digital disruption” di oggi.
Introduzione
Al di là del fatto che il Internet possa o non possa rappresentare una delle più grandi innovazioni nel campo delle comunicazioni, esso è indubbiamente fonte di riflessioni e considerazione che coinvolgono la sfera psichica, emotiva e sociale degli individui e la sfera culturale, politica ed economica della collettività. Il processo comunicativo che si svolge all’interno della rete del World Wide Web interessa infatti dinamiche socio-cognitive estremamente complesse e singolari: l’elaboratore elettronico digitale rende possibile la costruzione di strumenti che si pongono in una posizione intermedia tra l’intelligenza dei soggetti e la passività degli oggetti e permette agli utenti di entrare in contatto con ambienti virtuali che richiedono nuovi schemi di comportamento e di ragionamento, ad aree in cui il valore dello spazio assume significati diversi, a luoghi di interazione sociale che permettono forme di comportamenti collettivi e di relazioni interpersonali fino ad oggi inimmaginabili.
Nell’interazione uomo–computer le capacità mentali sono coinvolte nell’obiettivo, non sempre conseguito, di dare un significato ed un’interpretazione agli scenari che vengono presentati dal computer. Attenzione, percezione e memoria a breve termine sono impegnate nel monitoraggio dell’ambiente offerto dal video, la memoria a lungo termine a fornire i dati indispensabili per la comprensione degli oggetti e degli ambienti. L’apprendimento nasce e si sviluppa attraverso i concetti trasmessi dalle parole, ma anche spontaneamente, grazie all’uso e la sperimentazione dei funzionamenti dei software Situazioni di problem–solving si creano per raggiungere un determinato obiettivo o a per rimediare a qualche mal funzionamento della macchina, mentre condizioni di problem–setting nascono nel momento in cui si cerca di impostare una ricerca o di organizzare l’informazione da mettere in una pagina del Web. L’identità degli individui si arricchisce della possibilità di fingere ruoli e personalità mentre la collettività ha l’opportunità di creare i primi villaggi globali, aree virtuali accessibili da chiunque, indipendentemente dalle distanze geografiche e, teoricamente, di status sociale. Il linguaggio, si inserisce profondamente in ognuno di questi aspetti permettendone o inibendone lo sviluppo, al punto che quasi tutti gli ostacoli possono essere ricondotti alle difficoltà nel trovare un codice comune tra uomo e macchina e tra individui di culture e conoscenze diverse. Il linguaggio naturale risulta incomprensibile ad un elaboratore che è in grado di manipolare solo valori binari come uno e zero, mentre per l’uomo risulta praticamente impossibile ragionare secondo queste interminabili sequenze di cifre. Le interfacce nascono appunto per permettere ad individui ed elaboratori di incontrarsi su un piano comune che risulti comprensibile ad entrambi. La loro implementazione è quindi fondamentale sia per l’aspetto che riguarda la comprensibilità e l’usabilità da parte degli utenti sia per l’efficienza e l’affidabilità con cui consentono alla macchina di gestire le informazioni e i comandi.
Nel momento in cui un computer viene collegato ad un altro, viene cioè “messo in rete” le sue funzioni si arricchiscono di significati, opportunità e problemi. La possibilità di condividere risorse e scambiare informazioni impone di prendere in considerazione non più solo i codici per interagire con la macchina stessa, ma anche quelli dell’utente con cui comunica. Se la Rete a cui ci si collega ospita decine di milioni di computer di centinaia di paesi del mondo, cine nel casi di Internet, appare chiaro che queste considerazioni assumono significati che coinvolgono problemi linguistici e culturali, interessi economici e questioni socio–politiche. Il linguaggio con cui si comunica in Internet dovrebbe quindi risultare leggibile e i suoi dati accessibili a tutti i “cittadini”, anche da chi non ha un adeguato modello di funzionamento dell’ipertesto, delle reti, e dei computer.
Gli studi di ergonomia cognitiva e di interazione uomo–computer si occupano di fornire strumenti e principi che portato alla creazione di ambienti più agevoli ed immediati da “navigare” e comprendere. Ma la semplificazione del mondo informatico è ancora insufficiente perché possa essere compreso dalla maggior parte dei cittadini, problema che diventa anche socio–politico se si considera che la comunicazione in Rete, come medium, ha il compito di rivolgersi a chiunque e di non creare nicchie di fortunati utilizzatori a scapito della maggior parte delle persone.
Il percorso di questa tesi cerca di offrire spunti e considerazioni sulla comunicazione mediata dal computer, sulle difficoltà cognitive che si presentano all’utente di fronte a questo strumento e sulle modalità per cercare di ovviare il più possibile a queste problematiche.
Il primo capitolo introduce ai mutamenti che subisce il processo comunicativo tra emittente e ricevente che si svolge attraverso uno strumento complessi e interattivo come l’elaboratore. Nel secondo capitolo viene trattato il concetto di ipertesto e il modo in cui il supporto linguistico multilineare modifica il rapporto tra lettore, scrittore e informazione. Il capitolo prende in esame i processi cognitivi coinvolti nell’interazione uomo–computer e i principi di base delle interfacce che vengono alla luce a seguito di queste considerazione. Dal capitolo quarto l’attenzione si sposta al World Wide Web, alle principali considerazioni sulle caratteristiche spaziali e strutturali che ne stabiliscono limiti e potenzialità e all’analisi dell’importante ruolo che gli oggetti possono assumere all’interno di quest’area. L’ultimo capitolo applica i concetti visti al disegno delle pagine Web e alle caratteristiche fondamentali per renderle adatte ai bisogni cognitivi degli individui.
L’approccio con cui è stato svolto questo lavoro tiene in considerazione la complessità tecnica dell’argomento: per questo è stato fatto uso di metafore, esempi, immagini e di un stile linguistico che cerca di “umanizzare” la rigidità dell’ambiente informatico. Il percorso scelto ha dovuto sacrificare un incredibile quantità di informazioni e soprattutto di riflessioni che hanno continuamente accompagnato le stesura del testo. Sembra infatti che il Web rifiuti una qualsiasi analisi organica e stabile dei suoi contenuti e delle sue opportunità. La diffusione di nuovi concetti accompagna continuamente chi cerca di fornirne un resoconto organico creando le condizioni per nuovi scenari e rendono superate considerazioni precedenti di poche settimane. I MUD, ad esempio, giochi di ruolo che si possono fare in rete, erano praticamente sconosciuti nel momento in cui è stato incominciato questo lavoro, e non comparivano nelle stesse guide i cui aggiornamenti vi dedicano ora largo spazio. Lo stesso vale per gli ambienti Avatar, spazi dove gli utenti possono assumere diverse identità e interagire con gli altri attraverso la scelta di personaggi, la cui descrizione non compare ancora su glossari anche aggiornati.
Internet appare una realtà che non può essere fotografata ma che va accompagnata nel suo divenire. Gli stessi principi di design qui elencati potrebbero quindi risultare superati se, ad esempio, gli ambienti Web diventeranno tridimensionali e le informazioni potranno giungere efficientemente all’utente in modo simile a quello della televisione. Quello che non cambierà sono però i limiti cognitivi e i bisogni degli individui e delle società in cui la tecnologia si diffonde. Il miglioramento dell’accessibilità alla Rete passa attraverso la conoscenza dei meccanismi mentali con cui gli individui affrontano lo spazio e gli oggetti, del mondo reale e del mondo virtuale, all’analisi dei bisogni e delle motivazioni che lo spingono alla ricerca di informazioni e di interazioni.
Sarebbe bello che l’uomo potesse diventare davvero il centro della progettazione delle nuove tecnologie anche se, in un mondo in cui metà delle popolazione non ha mai utilizzato un telefono, “forse” non basterebbe.